Biografia di Jessica Zufferli – part 1
Non è possedere una macchina fotografica che mi rende una fotografa, come non è avere una penna a potermi rendere automaticamente una scrittrice.
Ognuno di noi nella sua professione ha iniziato il suo percorso in una maniera diversa arrivando a ricoprire ruoli completamente differenti, inutile dire che non esiste una ricetta universale.
Nel caso della fotografia, nella mia rete di conoscenze c’è chi ha iniziato a scattare foto prima dell’era della fotografia digitale, chi ha frequentato corsi, chi è figlio d’arte e chi ha deciso di dedicarsi a quest’arte da autodidatta.
Tutti però abbiamo avuto la forza di provare, sbagliare, e riprovare.
Posso quindi scrivere semplicemente come ho iniziato perché, sebbene mi chiediate come io sia arrivata fin qui, non mi sento di aver stracciato ancora nessun traguardo.
Ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia in piena adolescenza, quando uscire con il proprio migliore amico per una giornata di foto era una buona scusa per non rimanere a casa a studiare.
All’epoca non avevo una macchina fotografica mia, e tanto meno scattavo.
Mi limitavo a fungere da soggetto e a studiare le difficoltà nel tornare a casa con almeno una buona immagine.
Forse sono stati quei pomeriggi spensierati ad iniziarmi alla fotografia e a convincermi che questa passione l’avrei tirata avanti stringendo i denti, cercando di guadagnarmela e meritarmela.
A sedici anni, i miei amici mi hanno regalato una compatta, capitanati da mia sorella, stufa che la sua fosse più tra le mie mani che nella sua borsa. Ogni oggetto diventava interessante con quella lente davanti.
Ma volevo ottenere di più di quello che mi consentiva quello strumento: mi ero resa conto che non potevo avere pieno controllo della luce, il vero inchiostro della fotografia.
Per questo ho deciso di sacrificare tre estati durante l’unica pausa che gli studi liceali mi consentivano, lavorando in una azienda a tempo pieno per guadagnarmi tutto ciò di cui avevo bisogno per iniziare a premere quel pulsante che oggi dà accesso alla mia realtà.
Non che i miei genitori non mi avessero potuto aiutare, ma chi ha una passione sa bene quanto sia importante sentirla totalmente propria e le soddisfazioni che in questo modo porta.
“Perché non vieni a divertirti invece che lavorare, sei giovane e hai una vita poi per farlo”. Non sapevo dare ai miei coetanei nemmeno io una risposta esaustiva, ma con la mano pallida li salutavo mentre andavano al mare e a ballare.
Una volta risparmiati i soldi necessari, ricordo che ho dovuto persino pregare mio padre per poterli utilizzare come avevo da principio deciso. Una minorenne con un bel gruzzoletto non ha tutte le libertà che qualcuno può pensare, soprattutto in una famiglia come la mia dove il consenso dei genitori aveva e ha ancora un peso, ma soprattutto un valore e un rispetto.
Ma l’impegno di una figlia andava ricompensato, così mi accompagnò lui stesso ad acquistarla.
Che bello! Ho una reflex! Ma ora?
Cavolo, “basta solo schiacciare un bottone” era una leggenda metropolitana insomma.
… to be continued