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L’evoluzione del ruolo della donna nella pubblicità

La pubblicità è una parte fondamentale della cultura popolare e si conferma sempre un riflesso delle norme sociali.

Di fatto, non si occupa di descrivere un mondo reale, ma crea una visione di come il mondo stesso dovrebbe essere, sollecitando idee che hanno il potere di guidare consumi. Lo scopo primario? Ovviamente, la vendita di prodotti.

In realtà, succede molto di più. Vengono trasmessi intenzionalmente anche valori, immagini, concetti di amore e sessualità, di successo e romanticismo, aspetti che creano ideali e definiscono quindi cosa siamo e cosa dovremmo essere.

Seguendo questo ragionamento, quindi, il progresso che è stato fatto nella pubblicità per quanto riguarda la rappresentazione delle donne rispecchia lo sviluppo dell’intera società. Per celebrare la Giornata Internazionale della Donna, ho voluto prendere in esame proprio l’evoluzione del modello femminile nella pubblicità, ripercorrendone i singoli passi.

La comunicazione si fa donna

Attraverso i grandi mezzi di comunicazione, la figura e la relativa concezione della donna è cambiata radicalmente negli ultimi sessant’anni, dopo la sua comparsa prima in televisione, poi sulle reti private, fino ai social media. Potrebbe sembrare alquanto denigrante ripercorrere alcune fasi, ma queste sono la testimonianza della lotta contro gli stereotipi femminili.

Anni ’50. Ossessivo domestico.

Già a partire dagli anni ’50, la donna veniva rappresentata quasi esclusivamente come una moglie, madre, casalinga dall’aria borghese la quale, attraverso i prodotti che promuoveva, cercava di far leva sul suo bisogno di gratificazione da parte del suo uomo.

Ecco infatti come si presentavano nel secolo scorso le pubblicità sulle riviste, icone chiarissime di una marcata supremazia maschile.

Anni ’70. Oggetto sessuale.

Negli anni ’70, invece, si comincia a parlare di “donna-oggetto”. La figura femminile si trasforma nella protagonista delle pubblicità, con il suo essere femminilità sensuale e tentatrice. Molti affermano che ci sia stata in questo periodo una frammentazione del corpo femminile, ma anche un annullamento della donna stessa in quanto persona.

L’aumento della concorrenza in pubblicità in quegli anni ha spinto varie aziende a compiere scelte di marketing aggressive, dando vita a campagne pubblicitarie spudoratamente provocanti.

Il nostro background culturale e pubblicitario ha quindi visto per anni le donne considerate dai consumatori come ragazze con pochi valori e senza un ideale. Da qui si è fomentata la concezione che essere belle presupponesse automaticamente una certa dose di stupidità.

Anni 90. Dea irraggiungibile.

La donna in questo tipo di pubblicità appare come un essere perfetto ed è trasformata in una proiezione del desiderio dell’uomo. Di conseguenza, la donna già da ragazza impara che deve spendere un’immensa quantità di tempo, energia e soprattutto soldi sforzandosi di raggiungere quel ideale di donna, e al contrario vergognarsi quando invece non rappresenta o raggiunge questo ideale.

Anni 2000. “Semplicemente”, sè stessa.

Con il nuovo millennio, e aziende iniziano a prestare attenzione alla rappresentazione dei molteplici aspetti della vita reale delle donne. Assumono notorietà le donne che lavorano, che restaurano e che riformano, di età, fisicità e nazionalità diverse.

Questo cambiamento ovviamente è dovuto ad un cambio radicale del consumatore e della società. In generale, inizia ad essere importante per il consumatore vedersi rappresentato da personalità e da situazioni di vita reali, abbandonando categorie stagne e abbracciando la multi-dimensionalità di ognuno.

Alcuni brand nel caso specifico della donna, ad esempio, hanno iniziato ad impiegare concetti quali l’“empowerment” e il “body positivity” come strategia di marketing, per la promozione di indumenti adatti a tutti i tipi di corpi. Viene messa da parte, così, la ricerca della perfezione.

Un esempio lampante è Dove, che ha deciso di sfidare i concetti di bellezza mandando in onda lo spot “Real Beauty”, il quale vedeva rappresentazioni realistiche di donne. Lo scopo della campagna era celebrare le reali figure femminili e responsabilizzare le donne a sentirsi belle in tutte le forme, dimensioni e colori. Questa pubblicità è stata una delle prime ad espandere gli annunci televisivi e utilizzare il digitale, attraverso il lancio di video online come “Evolution”, inserita qui di seguito.

Dove ha poi sposato questa linea anche per altre sue successive campagne. In uno dei suoi film più famosi, viene esplorato il divario tra il modo in cui gli altri ci percepiscono e il modo in cui noi percepiamo noi stessi. Ogni donna è oggetto di due ritratti disegnati: uno basato sulla sua descrizione e l’altro utilizzando le osservazioni di uno sconosciuto.

Anche Nike ha rilasciato una campagna ad hoc per questo tema, chiamata Dream Crazier e narrata dalla tennista Serena Williams. “Se mostriamo emozioni, siamo chiamate drammatiche” e “se vogliamo giocare contro gli uomini, siamo pazze“.

La pubblicità elencava con frasi come queste gli stereotipi delle donne. L’obiettivo di Nike per la campagna era quello di puntare i riflettori sulle atlete che sono riuscite a infrangere le barriere.

Le donne nel futuro della pubblicità

Come abbiamo potuto vedere, la pubblicità attraverso il corpo femminile è passata attraverso diverse fasi: dal contestualizzare un prodotto da vendere, allo stimolare l’attenzione per dare maggiore effetto al messaggio comunicato. Successivamente si è arrivati poi finalmente anche alla distruzione della loro immagine standardizzata, anche se ancora questo traguardo al giorno d’oggi non è stato del tutto raggiunto: si combatte ancora con una immagine della donna sessista, radicata nella cultura popolare.

Se non ci credete, ecco degli esempi di come alcuni ruoli della donna vengano ancora proposti nella pubblicità contemporanea.

Negli ultimi anni è nato e ha preso campo per questo un nuovo fenomeno: il Femvertising, strategia di marketing che pone come obiettivo quello di coinvolgere giovani donne, online e offline, puntando sull’uguaglianza di genere e sulla vera forza delle donne, facendole sentire parte attiva del mondo di oggi. Già negli anni Novanta il dibattito aveva coinvolto il mondo della pubblicità e dei media, con critiche che riguardavano la rappresentazione di una divisione rigida e tradizionalista dei ruoli di genere.

Manifestando questa esigenza a livello societario, per gli stessi motivi citati a inizio articolo, era inevitabile che il ruolo femminile cambiasse anche in campo pubblicitario: ogni donna ha potuto finalmente immedesimarsi con diversi tipi di femminilità, a seconda della propria personalità e condizione. A sua volta, ne è derivata senz’altro una maggiore consapevolezza e coinvolgimento.

Grazie a questi movimenti, ora risulterebbe davvero controproducente continuare ad alimentare stereotipi femminili, se si pensa al fatto che stiamo vivendo un’epoca all’interno della quale temi come “l’accettazione di sé stesse” sono all’ordine del giorno.

Personalmente, in qualità di professionista appartenente al mondo del marketing, dobbiamo diventare consapevoli del maggior numero possibile di stereotipi e pregiudizi inconsci più ampi. Solo in questo modo possiamo affrontarli, definendo la comunicazione delle aziende, infrangendo le convenzioni e rendendo i marchi molto più coinvolgenti e coerenti per molti più consumatori.

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